La Palermo del Poeta

Tornare a Casa

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Devi tornare, torna a casa, Paola.
Torna a casa, Paola, devi tornare.
Paola, devi tornare, torna a casa.
Mi senti?
La voce sembra disturbata. Va e viene.
Ogni tanto mi chiedo: chissà come stanno le valli di Comacchio. A marzo, lì, l’alba comincia ad avere un profumo diverso.
Chissà come sta, a marzo, la via Bersaglieri del Po’. Chissà come sta la Chiesa di San Domenico, così movimentata e ribelle nelle forme, rispetto alle altre case di Dio.
Chissà come stanno gli spumoni da bere con la cioccolata calda della Pasticceria Bida. O gli studenti dell’Ariosto, che si affrettano verso l’entrata temendo la loro piccola realtà.
Chissà come sta, Ferrara, mentre io resisto in questo palazzone rosso, alle porte di una Milano che non è ancora Milano, con questo nome che suona così dolce, Cinisello, ma che oggi mi vede irrequieta, e dubbiosa. Dici che faccio troppa filosofia? Forse.
Mi mancano, mia mamma e mio papà. Papà mi ripete sempre: Torna a Ferrara, le famiglie divise non vanno bene. E ci tornerei pure, ma devo lavorare.
Devo lavorare per dare un futuro ai miei figli.
Qui, a Milano.

Mi mancano anche i miei figli, che domande.
Ma per fortuna vivono coi miei.
È solo che… in questo momento delle nostre vite, non possiamo vivere insieme.
No, non mi sento di averli abbandonati, i bambini.
Non potrei dar loro le attenzioni che meritano.
Ma sì, certo che voglio stare con loro. Mi sono rotta le scatole anch’io di questa vita, cosa
credi. I miei vicini di casa mi vedono come una creatura misteriosa, una vampira dagli orari opposti ai loro che vanno in fabbrica o negli uffici. Il silenzio che covano negli occhi me lo fa capire, che hanno associato il mio uscire mentre fuori è buio… al lavoro che faccio.
Ed è tutto un buonasera, come va? Tutto bene, grazie. A volte vorrei fermarli e dir loro: no, non va bene niente, ma mi limito al ruolo di spettro, a salire sulla mia Mini e sparire all’orizzonte, lungo viale Fulvio Testi, direzione: fossa dei leoni, tra Sesto e Cinisello.
Non te l’ho mai detto, ma sono venuta a Milano per tagliare i ponti col passato, dopo la fine del rapporto col padre dei miei figli.
Ormai mi sento vecchia, sai. Nel mio lavoro, perlomeno. Ho dovuto lasciare la zona di Piola, in città, e venirmene qui, in periferia, dove trovi anche quelli che chiudono un occhio, quando pagano per stare con una che non è più una ragazza.
Non è stato facile: una diventa grande, non può più stare sul mercato. E poi la malattia non ha aiutato, ma per fortuna dopo l’operazione ho ripreso. Sono stati giorni terribili.
Sai, in periferia ci trovi anche quelli come Danilo, che ripete d’amarmi, che mi osserva coi suoi ricci.
Danilo, che ha quell’espressione che non ho ancora ben capito. Non so se è quella di un uomo deciso, o d’un diavolo così impaurito dall’esistenza e vittima delle cose del mondo… che gioca a fare il caporione.
Mi sento una donna senza identità, catturata in un tunnel che non ha sbocco. E non sono più felice.
Sì, lavoro per Danilo e sono la sua donna, anche per mandare soldi ai miei figli, ma non va come vorrei. Danilo… è sempre più pesante. Dice di amarmi, te l’ho detto poco fa: ma se mi ama, perché m’impone una tassa così alta su quello che porto a casa, ogni notte? Si bea del ruolo di mio protettore, ma a me sembra proteggere solo i suoi
interessi.
Io non sono una bamboccia. So come funzionano certe cose, con il mio lavoro. Ma non riesco a comprendere come possa desiderare il meglio, per il mio cuore, e al contempo costringermi a rinunciare a quei soldi che aiuterebbero i miei figli a stare bene.
Non sono più felice, ammesso che esista, la felicità. Mi sento come quando ho lasciato Ferrara: era arrivato il momento di farlo. Una necessità fisica, che bolle nelle viscere, quella di spostarsi, di respirare ossigeno nuovo, anche se non rinneghi quello vecchio, ma non è più il tuo.
Devi tornare, torna a casa, Paola.
Torna a casa, Paola, devi tornare.
Paola, devi tornare, torna a casa.
Mi sento sfruttata, da Danilo.
E stasera, dopo mesi, ho intenzione di dirgli che me ne vado.
Mi manca Ferrara, sai.
E chissà se, quando scapperò da tutto questo, mi mancherà anche Milano.

 

1 marzo 1978. Paola Magnani, 38 anni, ex fotomodella reinventatasi come sex worker e madre di due figli, viene uccisa dal compagno, Danilo Pestarino, di un anno più giovane. Pestarino di Magnani è anche il protettore: l’uomo, di professione meccanico, è invischiato anche nel traffico della prostituzione. Trattiene buona parte dei guadagni della donna, aumentando sempre di più il valore della “tangente” e irritando la donna, che non vuole più sottostare agli obblighi imposti dall’uomo. Quando capisce che Magnani decide di lasciarlo per tornare dai figli, che crescono con i nonni a Ferrara, il meccanico la uccide con un colpo di pistola. La donna era da poco guarita da un tumore al seno.
Pestarino, per ammazzare Paola Magnani, punta e colpisce il cuore.

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