La Palermo del Poeta

Sognando lo Yemen

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Perdonami se ti disturbo a quest’ora.
Prepari la cena?
Sei con qualcuno che ami?
Ti senti sola?
Io… io sto bene. Sogno lo Yemen.
Sogno tutto quello che non ho avuto, e che nessuno si è mai sognato di donarmi.
Almeno fin quando non è arrivato Ahmed, col suo rimorchiatore, qui a Palermo.
Prima di conoscerlo, io per tutti ero solo “Il Folletto”. Non mi piace più questo soprannome: le ragazze che lavorano con me, qui al Borgo, ripetono che sono mite, che sono tranquilla, mi limitano a un ruolo che non sento più mio.
Non mi conoscono, io voglio essere selvaggia, libera, lontana da tutte loro, e accanto ad Ahmed.
Lo voglio tanto.
Non è solo un fatto di sentimenti e di quello che puoi immaginare, di cose normali, và!
È che lui mi trasporta con i pensieri nel suo Yemen, e in tutti i paesi in cui va per mare.
Va per mare, non te l’avevo detto? Ha ventitré anni. Siamo quasi coetanei, due anni più di me, che vuoi che sia, se l’ho aspettato tanto, un uomo così. Per stare insieme per sempre, io e lui, nella mia casupola qui al Borgo, al vicolo di Santa Rosalia, tra gli odori di lenzuola, la puzza di sesso e i profumi d’amore, non una reggia,
certo, ma un rifugio, un rifugio dove stare per sempre insieme.
Mi sembra di nuotare nell’infinito di terre e di acque che non ho mai conosciuto, quando sto con Ahmed. Mi stravolge i pensieri, mi restituisce serenità, è lui!, è con lui che voglio ricominciare daccapo.
Ne ho tanto bisogno. Ho ventun’anni, e me ne sento incollati addosso ottocento.
Le altre mondane che lavorano con me, ci osservano sospettose: ormai tutte, al Borgo, sanno di noi.
Ma non m’importa di Palermo, non m’importa delle mondane, che m’importa del mondo!, non m’importa più di tutti quegli uomini che conoscono il mio corpo, ogni sera, e ne fanno scempio, perché sono macchine, sono altro, rispetto a me. E a breve non saranno più che polvere, che ricordi macerati di niente.
Quel che penso, ormai, è stretto ad Ahmed. Lo so, che al “pollo” Ahmed non piace manco un po’.
Scusami, forse non conosci il “pollo”. È Giuseppe. No, non stiamo insieme, te l’ho detto, io amo solo Ahmed. Giuseppe, però, pretende di conoscere ogni cunicolo del mio spirito. Del mio, e di quello delle altre ragazze. Comanda i nostri desideri.
Guida le nostre azioni. Sceglie le nostre volontà.
Per Giuseppe io rappresento solo quattrini. Non gl’importa davvero, di me.
Mi ricorda mio marito. Me l’hanno fatto sposare ché avevo quattordici anni. E quando ne avevo manco diciassette, è arrivato davanti a me, con un coltello in mano.
Mi sono salvata per miracolo. Quando mi hanno fatta uscire dall’ospedale, sono dovuta scappare.
Ci siamo divisi.
E sono arrivata qui, a vicolo Santa Rosalia. Dove Giuseppe ha deciso di tutto, di me. E per me. Ma io non sarò più di Giuseppe, non sarò più di Palermo, non sarò più di mio marito.
Basta, è finito tutto. Ed è ricominciato, con Ahmed.
Adesso ti devo lasciare.
Sta arrivando, mangeremo della carne insieme, forse un mezzo pollo!
No, non lo so quando dirò a Giuseppe che smetto.
Ma lo farò.
Chissà come è lo Yemen. Chissà se Ahmed mi porterà mai. Chissà, laggiù, come si sogna.

Maddalena Lo Biondo, 21 anni, viene uccisa la notte tra il 17 e il 18 gennaio 1965 insieme al marinaio Ahmed Noman in una casupola di vicolo Santa Rosalia, a Palermo, con trentasei coltellate.
A essere condannato per il duplice omicidio è Giuseppe Panzica, il protettore di Lo Biondo, che si prostituiva da qualche anno, dopo la fine del suo matrimonio.
Il Panzica era terrorizzato dall’idea che Maddalena potesse abbandonarlo per ricostruirsi una vita con Ahmed: temeva di perdere gli introiti della giovane donna, tra le sue principali fonti di guadagno. Nel 1960, a sedici anni, Lo Biondo era finita in ospedale: il suo ex marito, in preda alla rabbia, aveva tentato di ucciderla massacrandola a colpi di coltello.

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